Miti storici abruzzesi

Miti storici abruzzesi

Le storie cittadine abruzzesi costituiscono un laboratorio ricco di spunti per riflettere sull’attenzione che tra ’500 e ’600 l’erudizione locale ha rivolto al mito fondativo, legando la storia delle origini ai protagonisti e alle vicende del presente. Sin dal Medioevo la pratica di elaborare miti storici abruzzesi ha rappresentato un capitolo fondamentale per la costruzione dell’identità collettiva. L’Abruzzo, infatti, nei secoli XVI e XVII ed anche precedentemente, non ha una identità regionale ma una “identità sfuggente” 1, dovuta alla sua conformazione policentrica, in cui ogni città ha difeso il suo peso politico, la sua presenza sul territorio e nel Regno; la volontà, e anche la necessità, di autocelebrarsi ha spinto l’erudizione locale a recuperare tradizioni antiche, poi a rimodularle, approfondirle e infine depositarle nella memoria collettiva.

Cristina Ciccarelli 2 si chiede: qual è stato l’atteggiamento degli eruditi abruzzesi di fronte alla possibilità di attingere a storie leggendarie? È stata una scelta comune alle altre realtà italiane? 

Premessa

A partire dai primi secoli dell‘età moderna, comincia a proliferare, in Italia e in altre aree dell‘Europa, un filone della memorialistica storica legato alla costruzione, prima, e al consolidamento, poi, dell‘identità locale. Progressivamente esso era confluito nelle ricerche di ambito locale, al fine di illustrare indistintamente «le origini, storiche o leggendarie, delle città e delle popolazioni italiche, fino ad epoche anteriori alla civiltà romana»

La storia moderna della regione abruzzese è strettamente ancorata alle vicende storiche del Mezzogiorno italiano.  Con la dominazione normanna la vita politica della parte settentrionale del Regno napoletano è rimasta ancorata alle scelte perseguite dalle diverse dinastie – sveva, angioina e, in ultimo, aragonese – succedutesi al potere fino all‘inizio dell‘età moderna.

Le prime pubblicazioni memorialistiche degli eruditi  seguono la riscoperta della antichità classica e cominciano a circolare nella seconda metà del Cinquecento; si sviluppano in modo particolare a Napoli,  in cui gravitano i principali interessi politici, economici e culturali del Regno per costruirne l‘immagine storiografica. Nello stesso periodo  la scrittura delle storie locali diventa un fenomeno che tende ad accomunare gran parte delle città meridionali.

L‘Abruzzo allora costituiva la più ampia regione del Mezzogiorno, estendendosi, a sud, fino alla città di Agnone e comprendendo, verso occidente, l‘intero circondario di Cittaducale, dal 1927 provincia di Rieti.

In Abruzzo prevalgono le storie cittadine legate alla dimensione della singola comunità per tutti i secoli XVI, XVII e parte del XVIII. Solo con Romualdo de Sterlich (Chieti, 1712 –1788)  e soprattutto con Anton Ludovico Antinori (L’Aquila, 1704 –1778) si comincia a parlare della storia regionale ed inizia una sistematica e paziente ricerca di tutto il patrimonio epigrafico della regione intesa come entità unitaria, ma siamo a metà settecento. 

La finalità giurisdizionale

Dietro la pratica memorialistica della regione si cela la finalità giurisdizionale. L‘«alleanza tra potere e memoria»  costituisce un filo rosso che caratterizza ogni società, dalle epoche più antiche ad oggi. La volontà di ricostruire la storia del passato, di assicurare primogeniture risponde, da sempre, alla necessità di fissare le coordinate del presente e di definirne l‘ordine sociale e politico. Ogni qualvolta un soggetto istituzionale, un‘autorità, un‘élite di governo abbia voluto consolidare il proprio potere, è divenuto necessario cercare nel passato momenti particolari nei quali individuare le proprie conferme. Si tratta di produrre il domani costruendo uno ieri, di «plasmare il nuovo inventando una tradizione» ; così facendo il potere si impossessa non solo del passato, ma anche del futuro. Spetta alla cultura il compito di elaborare dispositivi discorsivi adeguati, creando o reiterando emblemi, ricostruendo storie, selezionando scenari e ideali del passato.

Elaborazione di una storia collettiva e spazio di riferimento vanno di pari passo: troviamo letterati che redigono una storia cittadina per supportare l‘amministrazione di una comunità, o ricostruiscono il passato di un territorio ben più ampio, che travalica lo spazio urbano, per delineare il senso di appartenenza che caratterizza una diocesi o un‘area feudale. In ogni caso quell‘impegno erudito risponderà a precise istanze espresse dal potere per legittimarne le rivendicazioni giurisdizionali.

Le élite si stava appropriando degli spazi politici e religiosi e si costruivano modelli culturali tali da consolidarne il potere; le storie cittadine divenivano allora la prova evidente di una continuità tra le glorie del passato e la prosperità del presente 3 .

La memorialistica abruzzese

Cristina Ciccarelli dà anche delle risposte alle sue domande iniziali.

L’erudizione abruzzese recupera tre cicli mitologici e li fonde nella scrittura memorialistica. Il mito greco-troiano consente di vantare origini remote tali da sopraelevarsi rispetto alle capitali italiane, e soprattutto alla città partenopea. Quella memoria privilegiata diviene motivo di orgoglio e strumento di legittimazione del proprio ruolo nell’intreccio di poteri che il compromesso storico tra la Spagna, Napoli e il Mezzogiorno italiano mantiene in equilibrio. Ma è soprattutto l’invenzione di una genealogia noachica che permette agli storici di oltrepassare sia la tradizione romana sia il mito omerico, riuscendo a impressionare i propri lettori. Noè e, più spesso, Vesta diventano i fondatori leggendari di città come l’antica Cotilia, Sulmona, Penne, L’Aquila, Lanciano e oscurano la vetustas delle capitali, Roma e Napoli. Di fronte a un corredo mitologico così fitto gli eruditi abruzzesi decidono di non escludere alcuna tradizione dal proprio racconto. Si assiste, quindi, a una contaminazione dei cicli leggendari, che propone al lettore diversi momenti fondativi della propria comunità. Si tratta di una scelta perseguita anche in altre realtà italiane, specie nel Mezzogiorno, dove gli ultimi studi hanno rilevato la concatenazione di filoni leggendari diversi 4.

Un altro elemento peculiare della scrittura memorialistica abruzzese è l’attenzione riservata dagli eruditi abruzzesi al sacro e, in generale, alla storia ecclesiastica locale. Lo spazio cittadino è profondamente segnato dalla presenza dell‘elemento religioso, testimoniando con quanta intensità esso attraversi la società moderna 5 .

Gli eruditi intendono dimostrare quanto sia radicata la presenza delle istituzioni ecclesiastiche nella struttura urbana delle comunità e in che modo esse abbiano contribuito a formare la società abruzzese. La riflessione sul sacro è rilevante sia nel periodo controriformistico, in cui grande attenzione è data agli ordini religiosi, al santo protettore, alla proficua presenza in città di chiese, cappelle e monasteri, sia nella seconda età moderna, specie dal momento che molti degli eruditi presi in esame sono uomini di Chiesa. L‘esaltazione delle singole sedi diocesane è presente già nelle storie cittadine, dove l‘elemento religioso si conferma strumento di coesione sociale, legame forte con la città che contribuisce, con i suoi culti, allo sviluppo dell‘autocoscienza civica. Si registrano anche storie specificamente ecclesiastiche, incentrate unicamente sulla celebrazione delle figure canonizzate e delle comunità religiose attive nel presente, oltre che sulla descrizione delle reliquie sacre conservate in città 6.

Ma vediamo quali sono i principali miti storici creati nella nostra regione e  come sono stati generati ed articolati i miti delle origini.

I miti delle origini

La memoria collettiva si organizzava tendenzialmente attorno a tre poli d‘interesse: «l‘identità collettiva del gruppo, […]; il prestigio della famiglia dominante, che si esprime nelle genealogie; e il sapere tecnico, che si trasmette attraverso formule pratiche fortemente intrise di magia religiosa» 7.

Nelle cronache abruzzesi gli storici tendono a celebrare la propria città facendo leva su un passato doppiamente illustre: per prima cosa in relazione al mito di fondazione, che nelle diverse città della regione segue tradizioni e orientamenti diversi, a seconda delle tendenze culturali che influenzano gli scrittori e della particolare condizione storica e politica in cui quelli scrivono. In secondo luogo, le glorie del passato sono legate, come si è detto, al valore e alla forza che avevano distinto i popoli italici preromani – Marrucini, Frentani, Marsi, Vestini, Peligni, Pretuzi -, specialmente nel confronto con Roma. Primo intento degli storici locali è dimostrare la netta superiorità delle proprie comunità, insistendo sulla vetustas di un passato che si ricongiunge ai racconti mitologici, e al tempo stesso, sul valore bellico e morale delle genti che avevano popolato queste terre

Il mito troiano: Sulmona

Sulmona testimonia il forte interesse con cui gli scrittori hanno ”reinventato” la storia delle origini, specie nel corso del Seicento, quando non hanno rinunciato a intrecciare racconti leggendari diversi con l’unica finalità di celebrare la propria patria cittadina. Il principale mito di fondazione cui si sono rapportati tutti gli storici sulmonesi, da Ercole Ciofano (1578) a Ignazio Di Pietro (1804), si lega alla figura di Solimo, genero e compagno di Enea. Si tratta di una leggenda, la cui eco supera gli ambienti locali e si diffonde anche nel panorama italiano. Fonti imprescindibili per ciascuno di loro sono le parole di Silio Italico, ma soprattutto quelle pronunciate nel quarto libro dei Fasti (huius erat Solymus Phrygia comes unus ab Ida, / A quo Sulmonis moenia nomen habent) dal poeta Ovidio, autorità che assume uno spessore e un’autorità maggiori per i suoi natali sulmonesi. A raccontare la leggenda dell’eroe Solimo è dunque un’altra figura idealizzata, la cui produzione letteraria concorre ugualmente a rendere gloriosa la città.

L’erudito che più di ogni altro consacra il binomio tra il poeta e l’eroe troiano è Ercole Ciofano. Nell’edizione aquilana del 1578 l’umanista pubblica in un unico volume una Descriptio Sulmonis e la vita di Ovidio.

 Nella lettera introduttiva, Ercole Ciofano si rivolge al sindaco e ai consiglieri di Sulmona e precisa gli elementi che rendono fondamentale la sua opera: “La prima perché ho descritto Sulmona, la comune patria, […]; la seconda perché ho illustrato le Metamorfosi di Ovidio, poema di cui niente di più originale può essere creato. […] In verità noi tutti dobbiamo moltissimo a Ovidio che, con la sua nascita, con la sua dottrina e con il suo ingegno, rese molto più illustre la stessa patria, che già per la sua antichità è celebre e illustre”.

Lanciano

Il legame secolare che univa la città di Sulmona ad un altro polo della regione, Lanciano, trovava anch‘esso la sua legittimazione nel mito. In un documento risalente al 1278, per la prima volta, si parla di un vincolo originario tra gli abitanti della valle peligna e i Lancianesi, che giustifica il reciproco sostegno di cui le due comunità avevano beneficiato nel corso delle varie epoche: «propter originariam cognationem, & Confortium communis fundationis» .

Da allora, dunque, tutti gli eruditi lancianesi e sulmonesi avrebbero identificato nella figura di Solimo il fondatore di entrambe le città: la città peligna portava il nome stesso del suo fondatore (in latino Sulmo, -onis), Lanciano avrebbe invece acquisito il nome Anxanum in ricordo del fratello di Solimo, Anxo.

Vasto

Il dilagare del mito troiano nella letteratura meridionale non risparmiò nemmeno l‘entourage vastese, che ai primi del Seicento si apprestava a presentare con orgoglio il vincolo fondativo che legava la propria comunità alla figura di Diomede. L‘eroe omerico aveva assunto agli occhi degli autori della classicità un ruolo importante nella civilizzazione dell‘Adriatico ed il suo nome era stato quindi associato a numerose città sorte lungo la penisola italiana – si pensi a Siponto, Cliternia, Andria, Lucera – e nella compagine balcanica, tra cui la croata Planka. Del resto anche gli eruditi frentani, lo stesso Fella e prima ancora Rinaldi, avevano preferito che «Solymum […] Diomedij fuisse socium»  . L‘atto fondativo più celebre rimaneva quello delle Insulae Diomedeae, le Tremiti, la cui storia leggendaria fu celebrata da molteplici narrazioni compilate tra la fine del Medioevo e l‘inizio dell‘età moderna. La più significativa era la Tremitanae olim Diomedeae insulae accuratissima descriptio edita nel 1604 dal canonico lateranense Benedetto Cocarella, e riproposta nel 1606 nella versione volgarizzata.

Penne

Nella Fenice Vestina la macchina mitologica non rimane ancorata all‘era post-diluviale, ma vive un secondo momento vitale all‘interno della storia di Penne. Scorrendo il testo, infatti, si individua un‘altra fondazione mitica della città, avvenuta dopo lo scontro dei Popoli italici con i Romani, in seguito alla distruzione delle città abruzzesi, tra le quali spicca «la nostra Penna, quale poi con la licenza del Popolo Romano fù dal Re Itarco venuto dalla Siria in Italia reparata assieme colla Città di Cesena in Emilia, e quella di Sagoste, oggi detta Troia in Puglia, come si legge in un antichissimo manoscritto di q.a Città» . Ancora una volta era stato un domenicano ad interessarsi per primo a queste favole orientaleggianti: la storia travagliata del re degli Assiri era stata, infatti, già narrata dal predicatore Serafino Razzi (1531-1611) nei suoi resoconti di viaggio. Egli aveva retto l‘incarico di priore del centro vestino dal luglio del 1574 al maggio del 1576 e, come per tutte le città che aveva visitato, aveva fotografato nei suoi scritti un‘immagine suggestiva di «Civita di Penna», incorniciata dalle leggende, dalle usanze e dalle tradizioni che più lo avevano affascinato durante il soggiorno in città.

Chieti

Il vincolo che legava il capoluogo marrucino alla dea greca Teti era stato individuato nel nome latino della città, Teāte, attestato nei documenti antichi, medievali e moderni, e tramutato, dal XV secolo, nella denominazione moderna Chieti. Se le attestazioni anteriori al XIII secolo, in particolare quelle notarili e cancelleresche, potevano “realmente rispondere a una tradizione popolare del toponimo“, i documenti elaborati dal XIV secolo in poi sembrano essere tendenzialmente influenzati dal ricorso, tutto umanistico, al mito greco, per cui a fondare la città era stata la dea Teti o il figlio Achille, che le avrebbe assegnato il nome della madre. La “reinvenzione“ del nome compare già nell’Instrumentarium casauriense, compilato nella seconda metà del XII secolo dal monaco Giovanni di Berardo, su incarico dell’abate Leonate, e oggi conservato presso la Bibliothèque nationale di Parigi.

A consolidare questo racconto leggendario fu uno scrittore ormai noto negli studi sulla memorialistica italiana della prima età moderna, Alfonso Ceccarelli. Il De antiquitate Theatina è andato perduto, ma gli scrittori che in seguito ne hanno tramandato il nome hanno posto in evidenza la grande influenza che il medico di Bevagna esercitò sulla cultura locale.

L’Aquila

Agglomerati di recente fondazione, come Cittaducale e L‘Aquila, non potevano certo competere con le più antiche comunità abruzzesi e del resto della penisola, per collocare le proprie origini nel mondo classico degli dei e degli eroi greci; per questo era stato necessario attingere ai «canali dell‘antiquaria, con la quale molte città riuscivano a nobilitare la propria origine moderna, proponendola come rifondazione dell‘antica e attribuendosi il pregio storico e la legittimità dei più insigni modelli»  .

Ben oltre la coscienziosa ricerca del vero storico, la vivace proliferazione del mito postdiluviano non aveva risparmiato neanche la città aquilana, dove si scoprono scritture inedite che tentano di legare la storia locale al mito della dea Vesta, facendo riferimento al rinvenimento di iscrizioni e luoghi di culto a lei dedicati. Del resto l‘autore del Breve trattato delle città nobili del mondo e di tutta Italia ricorreva anch‘egli alla leggenda e Amiterno diventava città fondata da Saturno, guadagnandosi un posto nella straordinaria volta della genesi umana, al pari di altre celebri città del mondo fino ad allora conosciuto. Intanto, tra Quattro e Cinquecento una nuova immagine leggendaria aveva preso il sopravvento nella memorialistica locale, secondo la quale sarebbe stato Federico II a promuovere l‘edificazione del capoluogo abruzzese.

Conclusioni

Il ceto nobiliare incoraggia l‘elaborazione dei miti storici abruzzesi e, nella maggior parte dei casi, ne copre le spese di stampa per difendere l‘autonomia del proprio governo e imporne la presenza nella compagine statale del Mezzogiorno. Inoltre, in molti casi questa produzione contribuisce anche a sostenere lo status sociale di questi gruppi elitari contro le nuove logiche che prediligono le virtù civiche su quelle che avevano contraddistinto la nobiltà di sangue. La memoria collettiva tende, quindi, a coincidere in questi scritti con la memoria nobiliare, in particolar modo attraverso l‘accostamento della storia cittadina e di quella delle casate emergenti. Per questo motivo, spesso le famiglie del ceto di governo commissionano anche scritture parallele in cui esibire il prestigio e l‘antichità del proprio lignaggio, le cosiddette storie di famiglia, senza dimenticare che già nella struttura delle storie cittadine, i cataloghi delle casate e degli uomini illustri costituiscono un elemento basilare. Si è, quindi, dato risalto all‘importanza delle genealogie: esse riferiscono le imprese e i meriti degli antenati che hanno costruito pezzi di storia patria e assicurano, di conseguenza, il prestigio dei discendenti, partecipi della vita politica coeva all‘elaborazione delle memorie cittadine.

«Origini mitiche e origini storiche erano il campo di battaglia dove si scontravano ambizioni di signorotti italiani, glorie municipali, genealogie incredibili di famiglie patrizie per la giustificazione di poteri effettivi del presente o di poteri egemonici per il futuro» e, dunque, «l‘invenzione di una genealogia noachica e post-diluviale» permetteva all‘Alberti e agli storici minori di oltrepassare sia la tradizione storiografica romana sia il mito omerico e le sue articolazioni letterarie successive, riuscendo a stupire, divertire e impressionare i propri lettori 8.


Bibliografia minima su miti storici abruzzesi

Una bibliografia dettagliata sulla ricerca dei miti ed in particolare sui documenti che riguardano il meridione e l’Abruzzo si trova sul volume già citato Cristina Ciccarelli, STORIE LOCALI NELL’ABRUZZO DI ETÀ MODERNA (1504-1806), Tesi di dottorato di Cristina Ciccarelli, discussa presso l’Università degli Studi di Udine, 2010/11, da pag. 397 in poi.


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