L’Abruzzo racchiude un tesoro meraviglioso di borghi storici, parchi, boschi, monti, laghi, ambienti ed itinerari paesaggistici, storici ed antropologici.
Il 9 settembre 2022 si celebrerà il centenario del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Il 9 settembre del 1922, con una solenne cerimonia, pubblica e al cospetto delle autorità, si istituiva, per via privata, il Parco Nazionale d’Abruzzo presso la Fontana San Rocco di Pescasseroli, dove ancora oggi è possibile leggere sulla roccia “𝐼𝑙 𝑃𝑎𝑟𝑐𝑜 𝑁𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑑’𝐴𝑏𝑟𝑢𝑧𝑧𝑜 𝑠𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑖𝑙𝑣𝑎𝑛𝑒 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑒𝑧𝑧𝑒 𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑡𝑒𝑠𝑜𝑟𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑛𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑞𝑢𝑖 𝑖𝑛𝑎𝑢𝑔𝑢𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝐼𝑋 𝑆𝑒𝑡𝑡. 𝑀𝐶𝑀𝑋𝑋𝐼𝐼”.
Solo successivamente il governo italiano ha sancito ufficialmente l’istituzione del Parco Nazionale d’Abruzzo con Regio Decreto l’11 gennaio 1923. E nel 2001, con legge n. 93 del 23 marzo 2001, il parco ha assunto la denominazione attuale: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM).
Nel 2018 è stato firmato un accordo tra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco Nazionale del Gran Paradiso per l’organizzazione del centenario dei due Parchi Italiani e per migliorare il lavoro reciproco attraverso uno scambio continuo tra i servizi dei due Enti, che sono nati a poca distanza di tempo e le cui storie si sono spesso incrociate.
Vi siete mai chiesti perché abbiamo sempre considerato la data di nascita del Parco il 9 settembre 1922 e non quella della sua istituzione con legge dello Stato ovvero l’11 gennaio del 1923? La motivazione è semplice e risiede nel fatto che il 9 settembre il Parco nacque come scelta popolare, promossa da un gruppo di cittadini, illuminati e visionari, e condivisa da alcuni Comuni che decisero di tutelare circa 12.000 ettari di territorio (circa un quarto dell’attuale superficie protetta!). Il 9 settembre celebra quindi un evento unico nel suo genere, soprattutto per quegli anni: la prima area protetta nata non già come imposizioni dall’alto, contrariamente a quello che si racconta, bensì per concretizzare un’idea finalizzata a “….la protezione delle silvane bellezze e dei tesori della natura….”.
Festeggiamo questa data per ricordare le idee, i sogni e soprattutto la lungimiranza di chi volle credere e dare forma e sostanza al concetto di protezione della Natura, attraverso un processo partecipato. Festeggiamo il 9 settembre per onorare la storia di tutte quelle persone le cui azioni hanno prodotto risultati concreti, che oggi obbligano tutti noi e le generazioni future allo stesso impegno per poter dire: “𝗾𝘂𝗶 𝗹𝗮 𝗡𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮 𝗲̀ 𝗽𝗿𝗼𝘁𝗲𝘁𝘁𝗮”.
L’enfasi è assolutamente pertinente e giustificata: oggi il PNALM, nato dalla lucida strategia di una classe dirigente ambientalista ante litteram guidata da Erminio Sipari, è una realtà istituzionale solida, integrale e radicale nei principi ambientalisti, un modello riconosciuto a livello mondiale, che ha fatto conoscere alle nuove generazioni l’educazione ambientale attraverso una campagna accattivante di comunicazione e che gode del consenso unanime della popolazione, ben contenta del reddito migliorato e delle prospettive future. Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è un monumento europeo alla biodiversità per la varietà e la ricchezza naturalistica, le testimonianze artistiche, le buone pratiche consolidate, lo storico impegno ambientalista e le attività di ricerca scientifica. E’ un modello riconosciuto in ambito internazionale con una cultura che lega idealità, responsabilità, organizzazione e comunicazione.
Oggi il successo del modello PNALM è completo, ma il percorso non è stato sempre così lineare, sia per la presenza a breve distanza del contrapposto modello Roccaraso (e in generale del modello alpino) che per la sovrapposizione di competenza di altri enti, per le posizioni di politici della DC locale, per beghe interne, per la posizione a volte critica di enti locali o del governo centrale.
Info del Parco
Il PNALM ha avuto da sempre come punto di forza l’informazione e la comunicazione. Ha infatti un sito con tantissime informazioni, molto articolato nelle chiavi di ricerca ed in più lingue. Pertanto per molte informazioni si rimanda direttamente al sito istituzionale evitando un duplicato. Ecco i link principali:
Per tutti gli aspetti amministrativi, istituzionali ed operativi del Parco si fa riferimento al sito sopraindicato, così come per le descrizioni e per le schede di animali e piante, per le informazioni sull’orso marsicano, per itinerari, eventi e servizi.
Le successive indicazioni mettono a fuoco aspetti specifici del PNALM e forniscono collegamenti per chi vuole approfondire.
Lo sviluppo territoriale del parco, fino alla forma attuale, è avvenuto nel tempo.. Nel Parco ci sono 24 comuni (elenco) su tre Regioni (Abruzzo, Lazio e Molise). Gli itinerari sono circa 137 da 25 accessi situati presso le principali località e Centri del Parco. 750 Km di sentieri da percorrere a piedi da soli o accompagnati (ovviamente nel rispetto dei regolamenti) Per entrare al Parco non c’è un biglietto di ingresso a meno che non si tratti di alcuni Centri di Visita, come quello di Pescasseroli o quello di Civitella Alfedena. Ogni anno il Parco Nazionale d’Abruzzo viene visitato da molti turisti provenienti sia dall’Italia che da numerosi Paesi stranieri. Le norme di comportamento da tenere nel Parco sono indicate sui “capannini di accesso” alla sentieristica.
La zona di Protezione esterna del Parco (in giallo) è una zona cuscinetto tra il Parco e il non Parco di 77.500 ettari dove, al momento il Parco disciplina solo l’esercizio venatorio.
Aree protette
Aree protette
Nel territorio del PNALM si sovrappongono più aree protette: una Zona di Protezione Speciale (che coincide con il territorio del PNALM) e 4 Siti di Importanza Comunitaria (Parco Nazionale D’Abruzzo, Gruppo della Meta–Catena delle Mainarde, Cime del massiccio della Meta, Val Canneto).
Sono inoltre presenti due Riserve Naturali Statali denominate “Feudo Intramonti” (istituita con D.M. 9 febbraio 1972) e “Colle di Licco” (istituita con D.M. 26 luglio 1971), che occupano circa 1000 ettari e sono situate completamente all’interno del Parco, e un’area RAMSAR (Legge di ratifica DPR 13 marzo 1976, n. 448 e il DPR 11 febbraio 1987, n.184. ) denominata “Lago di Barrea”.
Zonazione
Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è diviso in zone (Zonazione): tale suddivisione permette di precisare i diversi usi del territorio e le attività dell’uomo possibili e compatibili con l’esigenza di protezione delle risorse naturali.
Zona A– Riserva Integrale – E’ la parte più delicata dal lato ecologico, naturalistico e paesaggistico, e merita la conservazione assoluta. L’accesso dei visitatori è consentito solo a piedi, dove ci sono i sentieri. E’ l’area del Parco dove vi sono maggiori restrizioni rispetto alle attività antropiche.
Zona B – Riserva Generale – Si tratta di una grande zona “verde” per intenderci le foreste, poco antropizzata, che bisogna conservare e tutelare. Le attività tradizionali dell’uomo, quelle agro-silvopastorali, sono consentite sotto il controllo dell’Ente. La visita è permessa a piedi lungo gli itinerari turistici; con mezzi motorizzati esclusivamente lungo le strade carrozzabili autorizzate al traffico. Questa zona rappresenta il punto di incontro e di convivenza tra l’uomo e la natura.
Zona C – Protezione – E’ l’ambiente tipicamente rurale, a ridosso dei Paesi dove predominano e vengono incoraggiate le attività agricole e pastorali, nel rispetto delle tradizioni locali. La visita è libera. Questa zona è lo spazio dove si concentrano le attività umane compatibili con la presenza del Parco.
Zona D – Sviluppo – E’ costituita dai villaggi abitati, dove i centri storici vengono restaurati e rivitalizzati. Vi si trovano inoltre attrezzature del Parco quali, aree faunistiche e Centri di Visita. Questa zona consente lo sviluppo di attività culturali e ricreative per le comunità locali.
In questa sede ci si limita pertanto ad indicare i due itinerari a piedi, molto noti e comunque molto belli da percorrere come la Camosciara (sito specifico), da cui si diramano tanti percorsi, e Val Fondillo.
Per quanto riguarda lo shopping, i servizi e la vita mondana la cittadina di riferimento è Pescasseroli.
Geografia e geologia
GeologiaIdrografiaFasce altimetrichePendenze
L’area del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, […] è compresa all’interno dell’Alta Val di Sangro ed è attraversata dai Monti Marsicani, i quali, appartenenti all’Appennino abruzzese, costituiscono il sesto gruppo montuoso più elevato dell’intera catena appenninica. L’Alto Sangro è situato nella parte meridionale della provincia dell’Aquila e confina con la zona nord-orientale della provincia di Frosinone e con quella nord-occidentale della provincia di Isernia. Quest’area dei Monti Marsicani si presenta come una massiccia catena montuosa, con vette che superano i duemila metri di altitudine, i cui rilievi principali sono Monte Greco (2.285 m), Serra Rocca Chiarano (2.262 m), Monte Marsicano (2.253 m), Monte Petroso (2.249 m), Monte Meta (2.242 m), Monte Forcone (2.228 m), Monte Tartaro (2.191 m), Monte della Corte (2.182 m), Monte Genzana (2.170 m), Monte Argatone (2.149 m), Monte Capraro (2.100 m), Monte Iamiccio (2.074 m), Monte Palombo (2.013 m) e Monte Godi (2.011 m).
Le montagne appena elencate sono formate prevalentemente da roccia calcarea generatasi da antichi depositi marini tipici delle zone lagunari e di scogliera che tra il Giurassico inferiore ed il Miocene (quindi tra 170 milioni e 10 milioni di anni fa) costituivano gli ambienti predominanti dell’area che sarebbe poi diventata l’Alta Val di Sangro. Un’eccezione degna di segnalazione è invece costituita dalle rocce dolomitiche dell’anfiteatro della Camosciara, formato da Monte Sterpi d’Alto, Monte Capraro, Balzo della Chiesa e il gruppo della Liscia.
La roccia calcarea ha subito notevoli fenomeni di carsismo che hanno plasmato gli accidentati campi di doline, ovvero distesi altopiani caratterizzati da cavità superficiali di forma circolare o ovale. Queste ultime si sono generate in seguito alla dissoluzione della roccia calcarea ad opera di acque superficiali filtrate attraverso fratture, o per il crollo di masse rocciose a causa di acque circolanti nel sottosuolo.
Per quanto riguarda l’idrografia, il principale corso d’acqua dell’area alto sangrina è rappresentato dal fiume Sangro che nasce alle pendici di Monte Morrone del Diavolo, in territorio di Gioia dei Marsi. Dopo aver raggiunto l’abitato di Pescasseroli, le sue acque attraversano le Prata, un’ampia piana di origine alluvionale che si estende fra i Comuni di Pescasseroli e Opi. Da questa zona il fiume Sangro attraversa la Foce, una gola fluviale posta tra i Monti Marroni ed il colle sul quale sorge l’abitato di Opi. Una volta superato questo angusto passaggio, il fiume Sangro si dirige verso l’abitato di Villetta Barrea per poi immettersi nel lago di Barrea, un invaso artificiale creato tra il 1949 e il 1951 per fini idroelettrici. Dalla diga del lago di Barrea, situata ai piedi del rilievo sul quale si trova l’abitato omonimo, il fiume Sangro ha formato, scavando nella roccia calcarea, una seconda profonda gola fluviale, la Foce di Barrea. Successivamente, dopo aver bagnato l’ampia zona pianeggiante che si estende tra gli abitati di Alfedena e Castel di Sangro, il fiume Sangro prosegue il proprio percorso fino ad incontrare le acque del mar Adriatico in provincia di Chieti. Il fiume Sangro non costituisce il solo corso d’acqua della zona poiché fin dalle sue sorgenti riceve il contributo di diversi brevi affluenti a carattere torrentizio; altri fiumi sono Melfa, Giovenco, Volturno. I laghi presenti nel parco sono:Barrea,Vivo, Pantaniello, Montagna Spaccata, Castel San Vincenzo, Selva di Cardito, Scanno, Grottacampanaro. L’idrografia dell’intera area è composta anche da altri elementi idrografici degni di specifica segnalazione come le numerose sorgenti presenti nella zona.
Parlando del Parco si pensa immediatamente a orsi, lupi, camosci, cervi, caprioli e aquile. La flora del Parco è ricca ed interessante: è possibile elencare circa 2.000 specie di piante superiori senza cioè considerare i muschi, i licheni, le alghe ed i funghi. Tra le peculiarità floristiche ci sono il giaggiolo(Iris marsica), un endemismo del parco, e orchidee tipo scarpetta di Venere o pianella della Madonna(Cypripedium calceolus).
Una rarità è senz’altro rappresentata dal pino nero di Villetta Barrea(Pinus nigra), una specie relitta risalente probabilmente al Terziario, e da una piccola stazione di betulle(Betula pendula), localizzata a Barrea in una località chiamata Coppo Oscuro. Si tratta di una specie relitta, tipica delle epoche glaciali quaternarie, che testimonia la vegetazione fredda un tempo predominante sull’Appennino.
Ma il paesaggio vegetale predominante del Parco è costituito dalle foreste di faggio: il nome scientifico di questa specie, Fagus syIvatica, ricorda l’origine spontanea di questa specie sulle montagne dell’Italia appenninica, dove la presenza dei faggi risale a decine di secoli fa. Il faggio è infatti l’albero più comune del Parco e generalmente cresce tra 900 e 1.800 metri di altitudine. Le faggete occupano più del 60% dell’intera superficie del Parco e concorrono a creare un paesaggio ricco di colori che variano al trascorrere delle stagioni.
Per spiegazioni ulteriori si rimanda alla pagina specifica del sito.
Le faggete vetuste del Parco patrimonio mondiale UNESCO
Le faggete vetuste del Parco sono entrate nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 2017.
All’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise sono stati individuati 5 nucleidi faggeta per una superficie complessiva di 937 ettari, afferenti ai demani Civici di Villavallelonga (Valle Cervara), Lecce nei Marsi (Moricento), Pescasseroli e Scanno (Coppo del Principe e Coppo del Morto), Opi e Civitella Alfedena (Cacciagrande).
E l’uomo?
Uso del suolo
Parlando del Parco si pensa immediatamente alla sua dimensione ambientale: vengono in mente orsi, lupi, camosci, cervi, caprioli, aquile ed anche fiori, arbusti, faggi e pini.
Ma non bisogna dimenticare che il territori del parco, istituito cento anni fa, è stato abitato da 18.000 anni e continua ad essere abitato anche dagli uomini. La vita in queste zone di alta collina e montagna non è stata certamente agiata, il reddito sempre basso ed il lavoro molto duro. In tanti hanno preferito migrare e chi ha conservato una piccola proprietà torna oggi per le vacanze.
Le attività umane nel parco continuano, vincolate al prioritario rispetto della natura e compatibilmente con essa. Ma non deve essere inteso come un limite o un impedimento perché l’ambiente protetto produce oggi la principale fonte di reddito: il turismo.
Gli uomini hanno creato nel tempo tanti manufatti, penso per esempio al lago di Barrea, che per noi è sempre esistito, ma per qualche ottantenne del posto non è così. Lo stesso parco è frutto di una encomiabile scelta di tanti uomini; ed è una scelta complessa, legata a tanti punti di vista e non sempre lineare. Inoltre la storia dell’uomo ha lasciato alcune tracce ancora visibili del passato attraverso cui possiamo ricostruire le vicende di questi luogo.
Conoscere la storia non solo non nuoce alla tutela dell’ambiente ma fornisce una informazione complementare per la comprensione del territorio e della sua gente.
Possiamo ben iniziare a ricostruire questa storia riandando a una scena della tarda mattinata del 13 luglio 1909 quando la carovana automobilistica «Alla scoperta dell’Abruzzo» approda a Pescasseroli per ricevere le accoglienze trionfali da parte della popolazione e delle autorità. Il momento clou della breve sosta nel paese è costituito dal ricco buffèt offerto dal console del Touring Club Italiano, l’ingegner Erminio Sipari, nella sua casa, «una casa che è un palazzo principesco». Il giovane console parla agli illustri ospiti per una decina di minuti illustrando le risorse di civiltà, di bellezze naturali e di laboriosità del paese, e lo candida a divenire “stazione climatica” del nostro Appennino.
Le radici culturali del progetto teso a scardinare il secolare isolamento dei recessi montani, propagandandone gli aspetti paesaggistico-ambientali e le rarità faunistiche, sono riconducibili al periodo immediatamente successivo l’unificazione nazionale, allorché si verificarono i primi tentativi d’inserire l’Alta Val di Sangro all’interno di canali di sciabilità peculiari dell’aristocrazia, con la proposta d’istituirvi una riserva reale di caccia. Il progetto trovò piena attuazione un decennio più tardi grazie all’iniziativa dei fratelli Francesco Saverio e Carmelo Sipari, esponenti di una casata della borghesia armentaria: nel 1872 essi avevano ceduto a Vittorio Emanuele II i diritti di cacciare il plantigrado marsicano su oltre 600 ettari di alta montagna di cui erano proprietari a Villavallelonga.
L’iniziativa dei Sipari comunque era stata tempestivamente riprodotta da alcune amministrazioni comunali altosangrine le cui deliberazioni consentirono la formazione della riserva reale. Tale istituzione rimase in funzione in due distinti periodi, dal1872 al 1878 (8 comuni) e dal 1900 al 1912 (11 comuni), coinvolgendo nel secondo caso quasi tutto il futuro parco nazionale.
La smodata ripresa della “caccia grossa” dopo il 1912 rese indifferibile l’adozione di strumenti volti alla tutela dei due principali esemplari della fauna autoctona, il camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata) e l’orso bruno marsicano. Tuttavia, mentre per la prima specie era intervenuto in tempi assai rapidi, già alla fine del ’13, un apposito decreto, la strada per la salvaguardia del plantigrado si sarebbe rivelata ben più lenta. Ma è proprio con quel fine e in quel periodo che un’apposita commissione – formata dallo zoologo Alessandro Ghigi, da Luigi Parpagliolo ed Ercole Sarti, funzionari che rappresentavano i ministeri dell’Istruzione pubblica e dell’Agricoltura, ai quali si aggregò il botanico Pietro Romualdo Pirotta – abbozzò per la prima volta il progetto di un’area protetta in Abruzzo. L’elaborazione più matura dello studio, che doveva confluire in un disegno di legge, fu impedita, tuttavia, dal terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915 e dall’entrata in guerra dell’Italia.
Il dibattito riprese nel dopoguerra. All’interno di un variegato movimento, in cui trovavano eco istanze estetico-letterarie, scientifico-naturaliste, sportive e turistiche, svolse un ruolo di raccordo l’intraprendente deputato Erminio Sipari, nativo di Alvito, ma maggiormente radicato nel versante opposto della montagna, quello dell’Alta Val di Sangro, e in particolare di Pescasseroli. Eletto deputato per 4 legislature, si è battuto soprattutto sia per la ricostruzione dei centri della Marsica distrutti dal terremoto, sia per l’istituzione e la difesa del Parco nazionale d’Abruzzo e per realizzare un grande polo turistico a Pescasseroli. Nel 1921, forte della presidenza della Federazione Pro-Montibus (Fpm) per il Lazio e l’Abruzzo, e soprattutto della nomina a sottosegretario di Stato alla Marina nel gabinetto Bonomi, egli impresse all’iniziativa una decisa accelerazione. Il 12 ottobre la Fpm stipulò con il Comune di Opi l’affitto di circa 100 ettari di territorio in località Camosciara, facendosi anche carico di predisporre gli atti per la costituzione di un ente che avrebbe dovuto amministrare l’area protetta. Il 25 novembre successivo, un’assemblea approvò la formale costituzione dell’Ente Autonomo per il Parco Nazionale d’Abruzzo e il relativo statuto, nominando un Direttorio provvisorio presieduto dallo stesso Sipari.
Alla costituzione dell’Ente seguì la sottoscrizione di nuovi contratti di affitto. All’inizio di giugno ’22, infatti, il territorio “protetto” raggiunse 12.000 ettari, ricadenti nel territorio di sette comuni (Bisegna, Civitella Alfedena, Gioia dei Marsi, Lecce nei Marsi, Opi, Pescasseroli e Villavallelonga). Si arriva così all’inaugurazione del Parco Nazionale d’Abruzzo il 9 settembre, sia pure come ente privato.
Per il riconoscimento statale Sipari contava soprattutto nell’appoggio del cugino Benedetto Croce, ministro dell’istruzione e personalità influente; dopo il repentino passaggio dall’Italia liberale al fascismo poté contare su Giacomo Acerbo, fra gli abruzzesi più influenti nel primo governo Mussolini, e su Giambattista Miliani, ministro dell’agricoltura. La proposta dei parchi fu accettata dal nuovo governo, favorevole ad idee moderniste; ma le due proposte presentate, il Parco Nazionale del Gran Paradiso e il Parco Nazionale d’Abruzzo, hanno avuto un percorso diverso per via della copertura finanziaria: il Parco Nazionale del Gran Paradiso è stato istituito il 3 dicembre 1922, con una cospicua donazione al demanio statale da parte del re, il Parco Nazionale d’Abruzzo doveva invece prevedere l’assunzione di appositi capitoli di spesa, in particolare per far fronte agli affitti da corrispondere ai comuni. L’11 gennaio 1923 il Governo approvò ildecreto-legge n. 257, che costituiva il Parco Nazionale d’Abruzzo su un territorio di 180 kmq «allo scopo di tutelare e migliorare la fauna e la flora e di conservare le speciali formazioni geologiche, nonché la bellezza del paesaggio».
La Commissione amministratrice dell’Ente autonomo era composta da diciassette membri: da quattro esperti in materia, rispettivamente, di zoologia, botanica, geologia e scienze forestali, da tre delegati ministeriali (uno ciascuno per i dicasteri di Agricoltura, della Guerra e della Pubblica Istruzione), dal presidente della Condotta forestale marsicana, da un ingegnere del Genio civile, da due rappresentanti delle Amministrazioni provinciali di Aquila e Caserta e da altrettante figure scelte dai comuni compresi, anche parzialmente, nel parco, nonché da un rappresentante ciascuno per la Fpm, il Cai, l’Enit e il Tci.
Sul versante culturale e scientifico, che in taluni casi s’innestava in quello parlamentare, le posizioni a favore del Parco furono molteplici e molto sollecite, sia pure in sedi e sotto forme diverse, ad aderire alle istanze del deputato della Marsica. La letteratura del periodo sull’istituzione naturalistica registra, infatti, i ripetuti contributi dello scrittore Emidio Agostinone, del geografo Roberto Almagià e del vice-presidente e presidente del Tci Giovanni Bognetti. Il dibattito era partito dalla Svizzera che intendeva creare aree naturalistiche; i principali teorici e sostenitori in Italia possono essere indicati in Pirotta, Parpagliolo e Sarti, autori di studi sull’istituzione di un parco nell’Alta Val di Sangro tra il 1913 e il 1918 e dopo la guerra autori di tre studi rivolti specificatamente alla costituzione di un’area protetta nell’Alta Val di Sangro.
Sipari enucleò il raccordo tra protezione ambientale e sviluppo turistico. Secondo la sua visione, uno scopo essenzialmente zoologico dei parchi, al quale erano stati in genere associati il divieto di deturpazione dei monumenti naturali e delle bellezze paesistiche e la tutela della flora, non poteva bastare:
A che servirebbe tutelare tali cose interessanti, se poi si vietasse di recarsi ad ammirarle? Sarebbe come spendere per formare un Museo o un Giardino zoologico e poi sbarrarne l’entrata ai visitatori. E perciò quasi tutti i Parchi del mondo non solo permettono, ma facilitano l’accesso ai turisti, e le rarità zoologiche costituiscono una delle tante attrattive che i visitatori trovano nel Parco. In quasi tutti i Parchi dell’America orientale la rarità zoologica è rappresentata dagli orsi, i quali ormai, dopo tanti anni, si sono talmente moltiplicati e abituati al contatto con le comitive di turisti, che si avvicinano ai gitanti per mangiare i resti delle colazioni.
In linea con il sistema “naturalistico” americano, il programma di Sipari si articolò su 5 punti cardine: 1) rimboschimento per fini estetici; 2) miglioramento della rete stradale; 3) incremento e miglioramento delle strutture turistico-ricettive, sia piccole che di grandi dimensioni; 4) sviluppo di una propaganda continua; 5) predisposizione di aree funzionali alla pratica sportiva. A differenza del meno antropizzato Parco del Gran Paradiso, che venne costituito per prevalenti finalità scientifiche, l’analoga istituzione abruzzese doveva necessariamente sperimentare un modello che armonizzasse in sé canoni della conservazione naturalistica e lineamenti di sviluppo turistico.
L’attuazione dei 5 punti ha avuto diverse fortune. Il primo punto fu attuato parzialmente a causa della presenza di società del legname e soprattutto degli interessi dei comuni che dall’utilizzazione forestale traevano la maggior parte degli introiti.
Sul secondo punto, accantonato il discorso nuovi progetti ferroviari, il presidente dell’Ente si rivolse alle arterie tradizionali, facendo riattare sia le mulattiere in disuso, per raggiungere i luoghi meno conosciuti, sia le rotabili, per “avvicinare” maggiormente le stazioni dei più prossime (Avezzano, Pescina, Alfedena e Cassino), diversificando le possibilità di accesso. L’idea di un collegamento “veloce” fra Roma e Napoli si arenò e sarà ripresa soltanto molti decenni più tardi.
L’idea del presidente era quella di dotare il Parco di strutture ricettive di piccole dimensioni e di un grande albergo. Mentre per le prime, che dovevano essere ubicate all’interno dei paesi, si sarebbe trovata una soluzione dal 1928, l’idea di una struttura di grosse dimensioni, da collocarsi in un’area non ancora antropizzata, decadde di fronte all’impossibilità di convogliare capitali “pesanti” sul progetto.
Tra il ’23 e il ’26 le attività dell’Ente si rivolsero anche ad un altro degli obiettivi programmatici sopra segnalati, ossia alla propaganda. In tal senso, preliminarmente, furono organizzate campagne di ripresa sia cinematografica che fotografica, dopodiché uscirono alcune delle “storiche” pubblicazioni della Commissione guidata da Sipari, per lo più distribuite gratuitamente. Fra queste, nel ’23, il manuale del Parco Nazionale, che raccoglieva la legislazione sull’area protetta.
Al 1926 risale la stampa della monumentale relazione d’insediamento della prima Commissione amministrativa, più nota semplicemente come Relazione Sipari. Composta da oltre 300 pagine, l’opera ripercorre le principali tappe storico-culturali dell’iniziativa.
Un argomento che ha dilaniato la commissione e che ha impegnato il parco per diversi anni è stato il progetto della società Terni per la formazione dei laghi artificiali nelle piane di Opi e Barrea, a cui Sipari si opponeva. Solo nel 1928 il progetto fu accantonato da Mussolini.
All’inizio degli anni Trenta, infine, presero il via anche gli sport invernali, con l’organizzazione di gare sciistiche di rilievo nazionale, grazie anche al sostegno dello Sci Club della capitale, a coronamento dell’ultimo punto del programma di Sipari.
Il principale successo gestione di Sipari non va ricercato tanto nello sviluppo turistico, quanto tutela naturalistica.
Gli anni difficili (1933 – 1969)
Nel 1933 il regime fascista sopprime l’ente di gestione autonomo, probabilmente per i suoi legami con l’associazionismo cattolico (in particolare con il gruppo scout dei giovani esploratori) e per rafforzare la presenza nei parchi italiani della Milizia forestale, che ottenne la gestione anche del parco nazionale del Gran Paradiso e dei nuovi parchi del Circeo e dello Stelvio.
Un altro fatto fondamentale è non rielezione di Sipari. La società Terni, molto vicina al regime, voleva realizzare due bacini artificiali per lo sfruttamento di energia idroelettrica nelle piane di Opi e di Barrea. L’opposizione a tale progetto, che comportò l’inimicizia di diversi gerarchi del Partito fascista legati alla lobby industriale, ha determinato per l’artefice del Parco la mancata nomina a senatore.
Ma come mai, ci si può chiedere, mentre l’ispirazione naturalistica del programma sipariano riesce a tenere nei decenni nonostante gravi cadute (quella dal 1933 e quella degli anni ’60 soprattutto), l’ispirazione legata all’ipotesi di quello che oggi chiameremmo il turismo sostenibile subisce una eclisse di quasi mezzo secolo, dall’inizio degli anni ’30 a tutti gli anni ’70?
La prima spiegazione, naturalmente legata alle persone: messo definitivamente fuori giuoco Sipari, fu sostituito da amministratori con una visione drammaticamente riduttiva dei compiti di un parco nazionale. Ma da sola questa spiegazione non è ovviamente sufficiente; è necessario anche andare alle radici delle debolezze strutturali con cui già Sipari si era dovuto scontrare durante la sua gestione e guardare oltre, agli anni del secondo dopoguerra.
Il turismo su cui punta le sue carte Sipari negli anni ’10 e ’20 ha ancora dimensioni quantitative molto limitate. Si tratta di pochi esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia urbana delle grandi città, Napoli, Roma e, in qualche caso, le città industriali del Nord Italia; nulla a che vedere con il flusso già colossale di visitatori che nello stesso periodo viene assorbito dai parchi nazionali statunitensi. I rinomati hotel di Roccaraso, esempi guardati con ammirazione e invidia da tutti, non riescono neanche a rimanere aperti tutto l’anno e gli sport invernali fanno molta difficoltà a imporsi nonostante il moltiplicarsi delle manifestazioni agonistiche. In un quadro di questo genere e di fronte all’impossibilità di mettere a segno il colpo propagandistico della realizzazione del “grande albergo” è abbastanza difficile per gli abitanti del Parco dare un contenuto più preciso, concreto, alle pur giuste visioni di Sipari. Qualcuno si ingegna a mettere in piedi delle piccole attività ricettive, ad esempio a Pescasseroli e a Villavallelonga, accettando le indicazioni dell’Ente Parco e rimettendosi fiduciosamente nelle sue mani per la promozione e gli acquisti, ma molto tardi. Timidamente e senza poi risultati tali da invogliare altri a seguirne subito l’esempio. l paesi del Parco, del resto, come quasi tutti quelli della montagna abruzzese, non ospitano una ricchezza diffusa tale da permettere investimenti consistenti e la tipologia del piccolo albergo, poco più che la vecchia locanda, è il massimo che si riesca a realizzare, ammesso che ci si riesca. Con l’avvento dell’amministrazione forestale, all’inizio del 1934, s’interrompe oltretutto qualsiasi sforzo di propaganda, di sostegno alle attività ricettive e di promozione di iniziative sportive e ricreative e anche gli embrioni di sviluppo turistico “pilotato” ripiegano su se stessi.
La ricostituzione dell’Ente parco è uno dei pochi segnali in qualche modo positivi dell’immediato dopoguerra; per il resto lo spopolamento, avviatosi in molte località già nei primi anni del secolo, prosegue inarrestabile, le condizioni di vita rimangono piuttosto disagiate e una delle antiche basi della ricchezza locale, la pastorizia transumante, conclude definitivamente proprio in questi anni la parabola discendente iniziatasi con l’abolizione della Dogana delle pecore di Puglia da parte di Gioacchino Murat. Le amministrazioni locali riescono a far quadrare i conti grazie ai proventi degli affitti dei pascoli e delle autorizzazioni di taglio del bosco, ma si tratta di una consolazione piuttosto magra. Ormai fuori dal vuoto ottimismo di facciata del fascismo, amministratori locali e opinione pubblica si interrogano su come frenare l’emorragia di braccia, lenire la disoccupazione e migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Rispetto agli anni in cui Erminio Sipari si poneva il problema dello sviluppo della zona e rilanciava il progetto di parco nazionale proposto dai primi protezionisti molte cose sono cambiate: la situazione economica è peggiorata sicuramente in termini relativi e forse anche in termini assoluti, le esigenze di base del vivere civile sono divenute più sofisticate senza che in montagna si diano d’altra parte i mezzi adeguati per soddisfarle, le vecchie gerarchie culturali e sociali proprie del mondo liberale sono saltate irrimediabilmente. La valle che aveva votato devotamente Sipari e aveva accettato senza discutere le sue proposte è ora un universo più articolato e aperto all’esterno, nel quale il ruolo di mediazione con il centro è svolto da un personale politico nuovo, fatto essenzialmente di intellettuali e professionisti che si raccolgono attorno alla Democrazia cristiana. Ma sono cresciute soprattutto le aspettative. Ci sono dei nuovi standard di vita che è impensabile non raggiungere e c’è la novità, tipicamente keynesiana, delle politiche statali di riequilibrio territoriale e di stimolo alla modernizzazione ben incarnate, nel 1950, dalla creazione della Cassa per il Mezzogiorno.
L. Piccioni, La lunga guerra del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lanciano 1998, p. 1010
Del tutto diversa sarà la piega che le cose prenderanno invece a partire dalla metà degli anni ’50, con uno sviluppo turistico massiccio e consapevolmente devastante dal punto di vista ambientale, teleguidato da speculatori edili romani e napoletani che utilizzeranno come apripista amministratori locali compiacenti quando non addirittura complici. Qui, paradossalmente, il compito di attaccare frontalmente l’esistenza stessa del Parco verrà demandato proprio ai politici locali, a coloro cioè che più avrebbero interesse a riprendere nelle proprie mani il programma sipariano. Ma per fortuna l’indirizzo culturale e operativo prevalente negli anni recenti, dopo lunghe battaglie ed estenuanti dibattiti, sembra dare ragione all’ispirazione di fondo di Sipari, colorandola delle nuove tonalità di un ecoturismo e di un ecosviluppo fondati soprattutto sulle capacità di investimento locali.
Intanto finisce la lunga disputa con Terni per la costruzione di invasi per la produzione di energia elettrica: viene costruito il lago di Barrea nel 1951, viene accantonato per motivi tecnici il progetto per l’invaso nella piana di Opi.
Alcune foto della piana di Barrea prima del lago si trovano qui e qui. Un video dello sbarramento di Barrea si trova qui. Foto del ponte romano sul fiume Sangro, fatto saltare dai tedeschi e poi sostituito dalla diga
Nel 1951 il governo democristiano dell’epoca ricostituì l’ente di gestione autonoma. La nuova direzione recuperò gli obiettivi dell’ente originario, e oltre alle numerose assunzioni di personale di sorveglianza, alla promozione di ricerche scientifiche e all’estensione dei divieti di caccia, favorì la costruzione delle prime infrastrutture per la ricezione del turismo. In particolare alla fine degli anni cinquanta sulla politica edilizia si innescarono aspre critiche in seguito alle speculazioni alberghiere e agli interventi per la realizzazione di piste da sci e impianti di risalita in diversi comuni del parco.
Un esempio è la costruzione del “grande albergo”, che nasce infatti in uno scenario del tutto mutato. È una grande società cittadina a realizzare la struttura, proprio di fronte alle palazzine dell’Ente Parco, negli anni ’60. A costruirlo non sono dunque dei pescasserolesi, bensì i protagonisti di una selvaggia speculazione edilizia che ha avuto addirittura necessità di mettere fuori giuoco il direttore del Parco per poter avere mano libera. Il suo “sogno” si realizza quindi in uno scenario che Sipari avrebbe considerato letteralmente infausto.
La storia del parco fino agli anni ‘70 è dunque la storia di un fallimento e dello stesso tempo di un successo. È la storia di una visione civile ed equilibrata dello sviluppo turistico, inteso soprattutto come sviluppo rispettoso dell’ambiente, basato su un interessante mix di strutture ricettive e di offerte ricreative, centrato sulle risorse imprenditoriali locali, a vocazione cosmopolita e piuttosto con aggiornate tecniche di marketing e di propaganda. Uno sviluppo gentile che fallisce ai suoi esordi per contingenze politiche, perché troppo avanzato rispetto alla povera domanda dell’epoca e perché non sostenuto da forze locali materialmente e culturalmente all’altezza. Ma uno sviluppo che per una fortunata astuzia della storia trova il modo di imporsi cinquanta anni dopo il primo scacco proprio grazie al successo ancora fragile, ma in apparenza acquisito dell’altro ..corno del programma sipariano, quello della necessità di proteggere rigorosamente la fauna, la flora e il paesaggio dell’Alta Val di Sangro.
L. Piccioni, La lunga guerra del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lanciano 1998, pp. 19-42
L’amministrazione di Francesco Saltarelli, iniziata nel 1952, tentò di opporsi all’ondata di abusivismo edilizio ma venne liquidata; seguirono così gli anni dell’espansione urbanistica di Pescasseroli e dell’aggressione indiscriminata del cemento, secondo un disegno speculativo che voleva la realizzazione di un grande comprensorio turistico-alberghiero da Roccaraso ai comuni della Valle di Comino. Nel 1967 il parco ottenne la prestigiosa certificazione del diploma europeo delle aree protette per la conservazione della natura; un lungo periodo di commissariamento e di difficili battaglie ambientali terminò nel 1969 quando Franco Tassi venne nominato nuovo direttore dell’ente parco.
L’amministrazione Tassi (1969 – 2002)
L’amministrazione Tassi iniziò il suo mandato mostrandosi sin da subito decisamente contraria all’ondata di lottizzazioni che si ripresentava nei comuni più importanti. Nel 1970 venne istituita la “zona di protezione esterna”, che ricalca in buona parte i confini del primo grande parco proposto da Sipari e dalla Pro Montibus et Sylvis.
Nel 1976 il terzo grande ampliamento del parco al massiccio del monte Marsicano scongiurò la realizzazione di un grande sistema di piste da sci tra Pescasseroli e Bisegna sul modello della vicina Roccaraso. Sono gli anni del grande successo del parco, il ripensamento dei precedenti disegni di sviluppo si concretizzò nell’accoglienza selettiva del turismo ecologista e ambientalista, in contrasto con gli afflussi di massa.
Il 10 gennaio 1990 con il decreto del presidente della Repubblica Francesco Cossiga i comuni di Pizzone, Castel San Vincenzo, Rocchetta a Volturno, Filignano e Scapoli concedono parte del proprio territorio comunale ai vincoli della riserva per un totale di 4 000 ha: nasce il «settore Mainarde», con il quarto grande ampliamento. L’entusiasmo per una serie di grandi successi aumenta la popolarità nazionale ed internazionale della riserva, fino a diventare un riferimento per l’ambientalismo italiano e il focolaio attorno al quale sorgono i nuovi grandi progetti protezionistici che interessano non solo l’Abruzzo e le regioni limitrofe, ma tramite il WWF tutto il territorio nazionale. Tra il 1990 e il 1999 l’ente parco collabora all’istituzione del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e del parco nazionale della Majella, nonché alla realizzazione di un capillare sistema di riserve regionali di minore estensione che fanno dell’Abruzzo una delle regioni europee con la più alta percentuale di territorio protetto.
I grandi risultati ottenuti però non tengono conto dell’amministrazione economica. La crescita esponenziale del sistema organizzativo e il coinvolgimento di elementi estranei alla tradizione ambientalista e alla gestione finanziaria, come vincoli burocratici nazionali e regionali o il crescente interesse dei politici localia partecipare alle decisioni amministrative dell’ente parco, condizionarono fortemente l’operato del personale della riserva. Questa tendenza prosegue fino al 2002, quando una serie di vicende politiche e giudiziarie hanno messo fine all’amministrazione Tassi.
L’originario disegno che prevedeva il coordinamento delle riserve protette istituende che ruotavano attorno alla promozione del parco nazionale fu messo da parte. A ciò si aggiunse la sfiducia delle popolazioni coinvolte e degli ambientalisti di fronte alle polemiche che sorsero in quegli anni.
Le gestioni 2000
Un periodo di incertezza è seguito alla caduta di Tassi, fino alla mozione di sfiducia della Comunità del Parco (organo consultivo istituito il 6 dicembre 1991 con la legge n. 394, titolo II, art. 10) verso Fulco Pratesi, licenziato nel 2005 dalla carica di presidente dell’ente gestore dal Ministero dell’ambiente. Dal 2002 al 2008 Aldo Di Benedetto, già vicepresidente dell’associazione ambientalista Pro Natura (erede dell’associazione federata Pro Montibus et Sylvis) è stato il direttore facente funzioni e dall’8 agosto 2007, data in cui il ministro dell’Ambiente ha firmato il decreto di ricostituzione del consiglio direttivo, Giuseppe Rossi è stato nominato nuovo presidente dell’ente parco, ponendo termine ad un lungo commissariamento.
Dal 22 gennaio 2008 al febbraio 2011 il direttore generale dell’ente gestore è stato Vittorio Ducoli, sostituito dall’8 novembre successivo dal pescarese Dario Febbo, già direttore del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Il 18 marzo 2014 è stato nominato presidente dell’ente parco Antonio Carrara.
Dopo un periodo di prorogatio, nel 1919, il ministro dell’ambiente Sergio Costa ha nominato Giovanni Cannata quale nuovo presidente dell’ente gestore.
Dal 13 agosto 2019 il Direttore Generale dell’ente è Luciano Sammarone, già comandante del reparto Carabinieri biodiversità di Castel di Sangro.
Le ultime gestioni appaiono sempre più orientate verso la tutela ambientale e il recupero del rapporto con le comunità e le istituzioni locali.
La presenza dell’uomo nelle aree del parco
Dalla preistoria al medioevo
L’area del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è frequentata dall’uomo fin dal Paleolitico. Durante la stagione estiva erano numerosi i cacciatori che dalle zone più temperate dell’Abruzzo interno – come le sponde del lago del Fucino – si spostavano nelle aree montane, impraticabili in inverno, a caccia di stambecchi, camosci e marmotte ed alla ricerca di silice, utilizzando le grotte e i ripari naturali. Con l’età del Ferro ha inizio un processo di occupazione sistematica del territorio che porta alla creazione di insediamenti fortificati, situati in posizione elevata a controllo di punti obbligati di passaggio lungo il fiume Sangro. Uno di questi abitati dovette certamente occupare la zona dove oggi sorge Opi, mentre un secondo era situato sulle alture circostanti il lago di Barrea. Già dalla tarda età del Ferro, in tutto il territorio, accanto agli insediamenti fortificati di altura, si ritrovano piccoli insediamenti, disposti prevalentemente lungo le vie di comunicazione. I loro abitanti vivevano di pastorizia e coltivavano per il consumo locale. Nel corso del V secolo si vennero ad enucleare i vari popoli di ceppo sannitico – i Marsi, i Volsci e i Pentri – che diedero vita a veri e propri piccoli stati etnico territoriali retti da oligarchie gentilizie. I rinvenimenti di ceramica di questo periodo entro i confini del Parco testimoniano che la popolazione continuò a frequentare anche in periodo sannitico le alture, che costituivano punti di osservazione ottimali sul bacino del Sangro. L’alta Valle di Sangro, costituiva per i Sanniti Pentri una terra di confine ed un punto di scambio sia con i Marsi, gravitanti sul Fucino, che con i Volsci stanziati nel Lazio Meridionale. La struttura dell’area, chiusa tra alte montagne e segnata da gole profonde, sconsigliò ai romani un attacco per molti anni. Tuttavia anche questi territori, con la definitiva sconfitta dei sanniti nel 290, entrarono nella sfera di governo di Roma. La zona compresa entro i limiti del Parco Nazionale d’Abruzzo venne inglobata nella prefettura romana di Atina. Nel corso del III e del II secolo a.C. si assistette ad una trasformazione del sistema insediativo; le popolazioni dell’alta Val di Sangro, pur continuando a frequentare gli abitati di altura funzionali al controllo del territorio, occuparono massicciamente la zona pedemontana con aggregati anche di grosse dimensioni, posti lungo assi viari nei punti di incontro e commercio. Solo con il I a.C. e la concessione della cittadinanza romana anche ai Sanniti-Pentri, ha termine il lungo periodo di romanizzazione iniziato oltre due secoli prima e si assiste ad un profondo mutamento nel quadro amministrativo, con la creazione del municipio di Aufidena (Castel di Sangro). In età tardo antica e altomedievale continuarono ad essere occupati i più importanti centri di fondovalle (Val Fondillo, Pian del Molino) e, accanto a questi, iniziarono a sorgere insediamenti monastici, soprattutto ad opera di anacoreti cistercensi. Inoltre, a causa del perpetuarsi di circostanze politiche incerte, si assistette ad una rioccupazione dei siti di altura già fortificati in epoca preromana: i “Castelli” che domineranno il paesaggio fino ad anni recenti, dando origine ai moderni paesi arroccati caratteristici della Val di Sangro (Opi, Civitella Alfedena, Barrea). Secondo alcuni studiosi la posizione di questi borghi non aveva in realtà motivazioni difensive bensì pratiche: conveniva realizzare i centri abitati su speroni di roccia e lasciare libero il fondovalle per le coltivazioni. Molti di questi nuclei insediativi hanno conservato i caratteri tipici della struttura medievale come Opi e Scanno.
LA CARTA DI ROMA E I PARCHI NAZIONALI Primo rapporto sulle sinergie tra Capitale Naturale e Capitale Culturale, Rapporto realizzato da Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per la protezione della Natura e del Mare e Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile
L’Alto Sangro ha quindi svolto fin dalle epoche più remote della storia dell’uomo le funzioni tipiche di un territorio di cerniera in quanto i valichi dei monti alto sangrini hanno da sempre favorito i contatti con le aree limitrofe. Tali caratteristiche divennero ancora più evidenti durante l’età del Ferro quando l’Alta Val di Sangro costituiva una terra di confine per tre importanti popolazioni italiche: i Marsi, i Volsci e i Sanniti Pentri. La presenza volsca non è casuale poiché le popolazioni alto sangrine hanno avuto fin da sempre frequenti scambi con gli abitanti della Val di Comino.
Al giorno d’oggi, ciò continua ad essere testimoniato dalla partecipazione al pellegrinaggio compiuto annualmente presso il santuario mariano di Canneto, nel territorio comunale di Settefrati. Con il graduale passaggio dall’età tardoantica al Medioevo l’Alta Val di Sangro non cessò di svolgere la sua funzione di territorio di frontiera dato che il confine tra i Ducati longobardi di Spoleto e di Benevento passava proprio presso la Forca di Barrea. Successivamente, nel X secolo, prima di cadere nelle mani delle potenti signorie feudali abruzzesi, l’Alto Sangro venne conteso tra i vescovi della Diocesi dei Marsi e gli abati dei monasteri benedettini di Montecassino e San Vincenzo al Volturno. Ma fu la pratica della pastorizia transumante, riorganizzata e potenziata dall’amministrazione aragonese del Regno di Napoli intorno alla metà del XV secolo, a rendere ancora una volta l’Alto Sangro una terra di passaggio. Si può quindi affermare che la storia raccontata in queste pagine sia quella di un territorio racchiuso tra le montagne che però non ne hanno mai determinato l’isolamento. Al contrario, i monti dell’Alta Val di Sangro sono stati attraversati dagli uomini fin dai tempi più remoti e i pendaglietti in ambra e pasta vitrea azzurra delle sepolture italiche di Val Fondillo e di Colle Ciglio confermano l’antichità di questi spostamenti. Inoltre, proprio la scoperta delle necropoli di Opi e di Barrea testimonia l’importanza storico-culturale dell’Alta Val di Sangro.
Nel XVI secolo, cominciò ad avere sempre più importanza Barrea, che divenne un Ducato comprendente anche Villetta Barrea e Scontrone.
Nel ‘600 l’Alta valle del Sangro conobbe un periodo di declino economico e demografico caratterizzato da terremoti (1654), epidemie (1656: grande epidemia di peste) e carestie (1684). Successivamente iniziò una lenta ripresa demografica.
Il XVIII secolo vide una progressiva decadenza del ceto feudale, fino all’abolizione del regime feudale nel 1806. Alla fine della feudalità fece seguito l’abolizione della Dogana della mena delle pecore in Puglia e la concessione in enfiteusi perpetua delle terre del Tavoliere, che portò a una graduale trasformazione dello stesso da pascolo invernale per le pecore a terreno destinato ad agricoltura e determinò, nel corso del XIX secolo, un progressivo declino dell’industria armentizia e, con esso, la decadenza economica dell’Abruzzo montano.
Il feudo di Pescasseroli era passato attraverso la successione di diversi possessori, fino all’affacciarsi della nuova borghesia ottocentesca, nel caso specifico esemplificata dalla famiglia Sipari.
La proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, fu seguito da un decennio di resistenza armata da parte dei filo-borbonici, noto come “brigantaggio”. Nella Vallis Regia e territori circostanti, il brigantaggio post-unitario fu un fenomeno caratterizzato da molti episodi di violenza ed ebbe notevoli conseguenze economiche e sociali.
La crisi economica di fine secolo, acuita dalla crisi della pastorizia transumante e dal contemporaneo incremento demografico, determinò l’affermazione del fenomeno dell’emigrazione che ebbe come destinazione principale gli Stati Uniti e raggiunse la massima intensità nel periodo compreso tra i primi anni del XX secolo e l’inizio della Prima Guerra Mondiale. Tra le due Guerre, l’economia locale subì un ulteriore flessione e prese piede l’emigrazione interna al territorio nazionale, in particolare verso la capitale. Di conseguenza, negli anni venti, la popolazione subì un drastico calo.
Gli eventi importanti di questo periodo furono l’istituzione del Parco Nazionale d’Abruzzo e la progettazione del lago, che inizialmente non ottenne dal governo centrale la concessione.
Durante la II Guerra Mondiale, Barrea si trovò sul fronte di guerra definito dalla linea Gustav. Barrea fu sfollata e successivamente anche Villetta Barrea e Civitella Alfedena; Pescasseroli ed Opi furono bombardati. In Alta Val di Sangro sono stati segnalati azioni personali di resistenza ai tedeschi attraverso l’aiuto a prigionieri, il sottrarsi al prelievo forzoso e la formazione di piccoli gruppi armati. La maggior parte della popolazione civile alto sangrina restò estranea al movimento di Resistenza dato che si trovava già impegnata nella lotta per la sopravvivenza quotidiana, resa ancor più precaria dai prelievi forzosi di animali domestici effettuati dai soldati tedeschi, che imposero lavoro coatto per liberare le strade dalla neve. Superata l’emergenza, la popolazione dovette fronteggiare una nuova crisi dovuta al declino delle basi economiche tradizionali e riprese il flusso emigratorio.
La creazione del lago, agli inizi degli anni ’50, cambiò radicalmente l’aspetto della valle ed ebbe un forte impatto sull’economia locale determinando la perdita dei terreni più fertili e di diversi impianti produttivi situati nell’area invasa dall’acqua. Negli anni seguenti scomparvero gradualmente le tradizionali attività economiche legate all’agricoltura e all’allevamento e iniziò ad affermarsi l’industria turistica.
Beni storici
LA GROTTA ACHILLE GRAZIANI (VILLETTA BARREA) Nell’area del Parco le più importanti testimonianze relative alla presenza dell’uomo fino all’età del Bronzo sono state individuate in grotte e ripari sotto roccia che si aprono sulle pendici dei rilievi prospicienti il Sangro e altri corsi d’acqua. La cavità archeologica più nota e studiata è quella dedicata ad Achille Graziani, capitano garibaldino, che per primo la esplorò nel 1876. Nella grotta, al di sotto di livelli superficiali contenti materiali romani e altri databili all’età del bronzo, è stata individuata una stratigrafia di particolare importanza da ricollegare al Paleolitico superiore.
IL CASTELLO PICCOLOMINI E LE TORRI (BALSORANO) Il castello Piccolomini, posto su un’altura presso la riva sinistra del fiume Liri e lo sbocco meridionale della Valle Roveto, venne edificato nella seconda metà del XV secolo su una preesistente struttura difensiva. La prima attestazione documentaria risale al 1089, quando Balsorano viene citato come castrum e poi ancora nel XII secolo come castellum. L’imponente edificio, straordinario per vastità e tipologia, presenta una pianta all’incirca pentagonale, con torri circolari ai vertici di presumibile fattura angioina, ed un cortile a forma di “L”. Il manufatto, impostato sul banco di roccia, è immerso in un parco rigoglioso, attraverso il quale, mediante un percorso pedonale, si giunge all’ingresso principale. Gli spazi interni sono caratterizzati da un assetto scenografico rielaborato negli anni 30 del XX secolo. In località le Starze, sulle rive del Liri, nella piana sottostante il castello di Balsorano, emergono da uno splendido pioppeto i resti di due torri: una quadrilatera sommersa dalla vegetazione, l’altra incorporata nella chiesa di S. Maria delle Grazie. Il complesso è in stretto collegamento con il fortilizio di Balsorano, costituendone l’avamposto a valle. Un antico tracciato di epoca romana, ancora oggi percorribile, collega tra loro i due siti.
LA TORRE (GIOIA DEI MARSI) Importante presidio di avvistamento e difesa del borgo sottostante, la torre circolare di Gioia dei Marsi è arroccata sullo sperone roccioso a controllo del valico della Forchetta di Sperone. La torre presenta un impianto circolare all’esterno ed ottagonale all’interno, con un diametro esterno di circa 8 metri ed un’altezza di 16. In corrispondenza dell’ingresso sopraelevato sono visibili due mensole che suggeriscono l’uso di una scala lignea retrattile. Recentemente la torre è stata consolidata perché soggetta a gravi fenomeni di erosione basamentale che ne compromettevano la stabilità. Sorge sul sito di un antico sito fortificato marso; il borgo attorno alla torre, distrutto da vari sismi, è attualmente in abbandono.
LA FORTIFICAZIONE (LECCE DEI MARSI) Su uno sperone nel cuore della valle di Lecce Vecchio sono ancora visibili i resti di un circuito fortificato con torri all’interno, attestato dalle fonti già per la metà dell’XI secolo. La fortificazione era posta a controllo del percorso che risale il Vallone di Lecce Vecchio e dei tratturi che collegavano l’area con l’alta val di Sangro e con il maggior tratturo Pescasseroli – Candela. Le ultime ricerche condotte sulle strutture conservate hanno identificato i lati Ovest e Sud del recinto murario. La cinta che delimita lo sperone roccioso si imposta inoltre su una precedente struttura difensiva dei Marsi. La presenza di questa fortificazione favorì nell’XI secolo lo stanziamento di popolazione stabile.
IL CASTELLO (PESCASSEROLI) Ai piedi del “pesco”, uno sperone roccioso, si trova il “Castel Mancino”, strategica rocca che dominava la vallata: dell’impianto trapezoidale si possono ancora apprezzare le tracce delle torri perimetrali. La fortificazione, con scopo prioritariamente difensivo, risalirebbe al X – XI secolo e venne distrutta nel 1141 da Riccardo di Capua. Appartenente alla tipologia del castello recinto, la rocca era costituita da una torre mastio a pianta quadrata e da un recinto munito di cinque torri a pianta circolare.
Lorenzo Arnone Sipari, Corradini Guacci (a cura di), Origini e primi anni di vita del Parco Nazionale d’Abruzzo nella “Relazione Sipari” del 1926, atti del convegno di studi Alvito 2016, Palladino editore
Lorenzo Arnone Sipari (a cura di), Scritti scelti di Erminio Sipari sul Parco Nazionale d’Abruzzo 1922 – 1933, Tipografia editrice , 2011
Franco Tassi, Fulco Pratesi, Parco Nazionale d’Abruzzo. Alla scoperta del Parco più antico d’Italia, Carsa edizione
E.H. Meyer, I pionieri dell’ambiente. L’avventura del movimento ecologista italiano. Cento anni di storia, Carabà, Milano 1995, p. 182.
F. Pedrotti, Scritti sulle aree protette, Temi, Trento 2004, p. 467.
B. Rodi (a cura di), Parco: non solo natura. Costruire nella tradizione, («natura pratica», collana patrocinata dal WWF Italia), Cogecstre, Penne 1998.
A Ferraretto (a cura di), Un Parco e la sua economia. Indagine sul Parco Nazionale d’Abruzzo e la politica di sviluppo locale, WWF Italia, Roma 1998
AA.VV., La lunga guerra per il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lanciano 1998.
Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Litorapid, Roma 1995
Marchionna Mario (a cura di), Vallis Regia. Storia e cultura di un territorio, Barrea 2016, Associazione Proloco Barrea
La discussione sui parchi nazionali tra età liberale e fascismo: le riflessioni di Nicola Angelo Falcone, Luigi Parpagliolo ed Erminio Sipari, in «Origini e primi anni di vita del Parco Nazionale d’Abruzzo nella “Relazione Sipari” del 1926», Campobasso 2019